“Gli occhi sono lo specchio dell’anima”, dice un proverbio, e significa che dagli occhi di una persona si capiscono molte cose.
Il mestiere dell’attore è fatto di osservazione e studio della natura umana allo scopo di imitarla. Anche studiare la scienze cognitive può essere utile, a tale scopo, nel lavoro dell’attore. La scienza dello sguardo ci insegna: ecco alcune nozioni su come usare gli occhi in scena!
Stare in ascolto
Situazione: in scena siete due, ma il tuo compagno sta recitando una lunga, importante battuta (probabilmente un soliloquio). Tu, che sei in scena con lui, cosa fai?
La cosa più importante è non calare di presenza. Cioè, essere presente e in ascolto: prestare orecchio alle parole del compagno e reagire. Non cercare di sottolineare con il corpo il senso di ciò che sta dicendo il tuo compagno: basterà voltarti verso di lui e l’attenzione del pubblico si focalizzerà su ciò che sta dicendo. Lo sguardo, però, non deve restare fisso: a volte può cambiare.
La scienza dice che quando ascoltiamo, infatti, il nostro sguardo si avvicina istintivamente al nostro orecchio destro. Spostare le pupille perciò verso destra o piegare leggermente il capo verso la tua destra potrebbe aiutare a conferirti un atteggiamento più naturale di attenzione e di apertura all’ascolto.

Ingrid Begman in “Sinfonie d’autunno” di Ingmar Begman. Qui non vediamo chi la Bergman sta guardando fuoricampo, ma capiamo che sta ascoltando qualcuno. Infatti, la pupilla è spostata verso destra, ma non solo perché sta guardando qualcuno che è a destra: la sua testa, anche, è inclinata a destra.
Questa tecnica può essere utile anche nel momento in cui il tuo compagno legherà la sua battuta alla tua. Quando finisci di recitare una battuta, infatti, è il momento più pericoloso per il calo di presenza: appena finisci la battuta, non finisce lo spettacolo. Spostare automaticamente la pupilla verso l’orecchio destro, finita la battuta, in ascolto del compagno che ha appena preso la parola, è un buon esercizio cognitivo per combattere la tendenza a “rilassarsi troppo” in scena.
Lasciarsi emozionare
Se ciò che dice il tuo compagno o ciò che stai recitando ti emoziona, non guardare in platea con sguardo da zombie o da cucciolo ferito. Piuttosto, abbassa lo sguardo, anche solo per un breve momento. La scienza, infatti, insegna che quando ci colpisce un’emozione molto forte tendiamo ad abbassare lo sguardo, piuttosto che a sollevarlo.
Questo non significa che se si recita un pezzo drammatico si debba guardare in basso tutto il tempo. Per recitare in teatro bisogna provare delle emozioni nette, forti: rabbia, paura, gioia, dolore, etc. (Non fare l’errore di lavorare sulle “mezze emozioni” come l’imbarazzo, la malinconia o la tristezza: dietro ogni emozione se ne nasconde una ancestrale, più forte, più colorita. Spesso l’imbarazzo è paura, infatti, e la malinconia è dolore). Non si può mai parlare nel momento esatto in cui il personaggio viene investito da un’emozione così potente: per questo, il personaggio farà una pausa.

Ingrid Begman (a destra) abbassa lo sguardo, lasciandosi emozionare dalle parole di Liv Ullmann (a sinistra) in “Sinfonie d’autunno” di Ingmar Bergman
La pausa è un altro momento rischioso per il calo di presenza, e se non si è bravi a usare lo sguardo si rischia di far sembrare questo momento un banale vuoto di memoria. Invece, la pausa è un momento in cui il personaggi sta, sostanzialmente, recuperando le idee e decifrando le sue emozioni, trovando il modo di creare le parole che sta per dire. Guardare in basso, e rialzare lentamente lo sguardo prima di ricominciare a parlare può essere un modo di rendere interessante e significativa questa pausa.
Ingrid Bergman, una delle più grandi dive del cinema del secolo scorso, diceva: “Per recitare bene devi lasciare il dolore dietro gli occhi: soffrire ma senza volerlo far notare”, come a dire che le reazioni moderate e trattenute spesso sono le più convincenti e realistiche.
Ascoltare i propri pensieri
Prima si accennava ai vuoti di memoria. Il mestiere dell’attore è principalmente mnemotico, perciò è inevitabile che questi debba ricorrere all’atto di ricordarsi delle battute in scena. Tuttavia, anche al ricordare corrisponde un’azione inconscia degli occhi.
Fortunatamente, le scienze cognitive hanno rilevato che per ricordare una battuta, pensare e al tempo stesso ascoltare noi stessi e quello che diciamo, la nostra pupilla si avvicina automaticamente al nostro orecchio sinistro. Anche la nostra testa, quando ricordiamo o pensiamo a cosa dire si inclina verso sinistra. Perciò l’azione dell’attore di ricordare può essere perfettamente mascherata con l’intenzione del tutto naturale del personaggio di pensare a cosa sta dicendo e ascoltarsi.
Spesso, infatti, l’attore quando recita una battuta si ascolta, nel senso che ne ascolta il suono per modulare la voce, costruire correttamente le frasi e accertarsi di non starsi impappinando. Questa, per fortuna, è un’azione che fai anche regolarmente tutti i giorni comunicando con il prossimo, quindi è perfettamente verosimile che accada anche in scena.
Quando la si compie in posizione d’ascolto, tuttavia, distrae molto dalla battuta del tuo compagno che sta recitando. Dal punto di vista dello spettatore, infatti, si percepisce come se quello che è stato appena recitato abbia suscitato un ricordo o un pensiero nella controparte in ascolto e che quindi questa stia lì lì per intervenire. Può quindi essere un buon modo per legare una battuta: iniziare a pensarla solo quando senti che quella del compagno sta finendo, in modo da dare l’impressione che la sua ultima frase ti abbia suggestionato a enunciare la battuta che starai per recitare. Non a lungo, però: deve essere un breve momento, proprio verso la fine della battuta del compagno. Altrimenti, sembrerà innaturale.

Ingrid Bergman in “Sinfionie d’autunno” di Ingmar Bergman. L’attrice non sta più ascoltando chi si trova fuoricampo, ed è immersa nei suoi pensieri e nell’elaborazione di un sentimento. Lo capiamo perché la sua testa s’inclina naturalmente verso sinistra e la pupilla si avvicina all’orecchio sinistro.
Ricordare delle immagini
Più problematico è mascherare i vuoti di memoria per gli attori che, invece, hanno una memoria fotografica (cioè che lavora per immagini). Per capire se sei un attore dalla memoria fotografica, pensa: quando reciti vedi le tue battute scritte sul copione sottolineate con l’evidenziatore? Se sì, vuol dire che mentre reciti guarderai molto spesso in alto a sinistra.
Le scienze cognitive, infatti, ci dicono che quando ricordiamo delle immagini tendiamo a sollevare lo sguardo in alto a sinistra. Se sei un attore che tende a pensare per immagini, quindi, sarai molto avvantaggiato per un tipo di narrazione epica, frontale, dove dovrai restituire, ricordare e proiettare con lo sguardo molte immagini sulla quarta parete.
Solo, appunto, bisogna prestare molta attenzione a non sollevare troppo lo sguardo quando, in scena, non si ricorda una battuta: guardare in alto, infatti, renderà evidente che ti stai cercando di ricordare qualcosa che hai dimenticato.

Liv Ullmann in “Sinfonie d’autunno” di Ingmar Bergman. L’attrice guarda in alto a sinistra e quello che percepiamo è che stia guardando lontano, lasciandosi suggestionare da un’immagine vivida nella sua memoria.
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